STORIA ED EVOLUZIONE DEL NEUROFEEDBACK

Come è stato messo a punto il Neurofeedback?
Storia del Neurofeedback (o biofeedback EEG) – Fonte ADNF

Nel 1875, il medico britannico Richard Caton nota, sperimentando su degli animali, che l’attività elettrica del cervello è legata all’attività mentale. Negli anni ’20, il neuropsichiatra tedesco Hans Berger rileva il primo elettro-encefalogramma umano. In seguito scopre la relazione tra certe attività mentali e le variazioni dei segnali elettrici emessi dal cervello all’interno di certe bande di frequenza. Berger aveva già allora intuito che certi segnali anomali riflettevano dei disordini clinici. Nel 1958, Joseph Kamiya, professore all’Università di Chicago, insegna ad un volontario ad emettere onde Alpha (8-13 Hz) confermando così la capacità di poter controllare le proprie onde cerebrali. Dieci anni più tardi, nel 1968, Barry Sterman dell’Università di Los Angeles, che nel frattempo stava insegnando a dei gatti ad aumentare l’ampiezza dei segnali del loro ritmo sensomotorio (12-15Hz) fece una scoperta inattesa. La NASA che si stava interessando agli effetti dell’idrazina (un combustibile per razzi) sull’essere umano, chiese a Sterman di indagare sulla correlazione tra il combustibile e l’insorgenza di crisi epilettiche. Sterman utilizzò per l’esperimento 50 gatti, 10 dei quali avevano già preso parte all’esperimento sull’accrescimento del ritmo sensomotorio. Inietta l’idrazina ai 50 gatti e scopre, con sorpresa, che quelli che non avevano partecipato al precedente esperienza di Neurofeedback ebbero una crisi epilettica nell’ora successiva all’iniezione, mentre i 10 gatti che avevano preso parte all’esperimento si dimostrarono ben più resistenti. Sterman stava scoprendo un’applicazione medica del Neurofeedback ancora prima che questa fosse teorizzata. Nel 1971, Sterman comincia ad utilizzare il Neurofeedback per ridurre, con successo, il numero di attacchi epilettici negli esseri umani. Una ventina di studi scientifici effettuati da 12 centri di ricerca hanno confermato i suoi risultati. Negli anni ‘70 e ’80 furono raccolti abbastanza dati da permettere di comparare i segnali cerebrali di soggetti diversi alla fine di stabilire un legame tra segnali cerebrali particolari e sintomi diversi. Nel 1989, Eugène Peniston e Paul Kulkosky definirono un protocollo di Neurofeedback specifico da applicare ai veterani del Vietnam per trattari sintomi di stress post-traumatico. Due anni più tardi Peniston e Kulkosky utilizzarono questo protocollo con degli altri veterani che nel frattempo presentavano problemi di dipendenza dall’alcool. Questi due studi furono un successo. E’ durante questo periodo che furono pensati i primi strumenti per il Neurofeedback informatizzato. Contiamo attualmente una dozzina di equipaggiamenti sul mercato per circa 6000 utilizzatori professionali nel mondo. Ad oggi le applicazioni di Neurofeedback sono moltiplicate e le sue modalità di applicazione sono molto diverse tra loro. Si va dal medico, al neurologo o al psichiatra, esperti di Neurofeedback che utilizzano i sistemi complessi di vecchia generazione per trattare sintomi specifici – ai terapeuti che utilizzano i sistemi di nuova generazione (largamente automatizzati e molto più sicuri) per allenare il cervello a funzionare meglio in generale. L’associazione per la diffusione del Neurofeedback in Francia si colloca in questa seconda categoria. L’associazione rende il Neurofeedback in Francia accessibile a tutti dal 2004. Ecco qui la storia del Neurofeedback con le sue differenti evoluzioni che gli hanno permesso di poter donare benessere e soluzioni efficaci alle persone che l’hanno praticato.

Storia del Neurofeedback

Una panoramica sullo sviluppo e l’evoluzione di NeurOptimal®: Una riflessione personale

Susan Cheshire Brown Ph.D.

Mi sono affacciata al campo del Neurofeedback nei primi anni ’90. A quel tempo, il campo era rappresentato da due sistemi di allenamento distinti. Il primo era il cosiddetto SMR/Beta training (tutto su singolo canale ovviamente) per semplici disturbi dell’attenzione, e il secondo era l’Alpha-theta training. Quest’ultimo era praticato come metodo “abreativo” per la trasformazione personale. Chi offriva il primo metodo non offriva il secondo e non c’era alcun modello di Neurofeedback che cercasse di integrare i due differenti approcci. Tutto questo fino a quando Val Brown ha integrato i due tipi di allenamento in quello che sarà poi definito il Five Phase Model (ndt. Modello a Cinque Fasi). Qualunque fosse la diagnosi, tutti i clienti erano sottoposti a una sessione SMR ad occhi aperti, per poi passare al beta-training e successivamente all’alpha-theta training ad occhi chiusi – utilizzando l’area del cervello CZ come sito di interesse – finendo con una sessione di Global Synchrony training usando un setup a quattro canali, se disponibile. Altrimenti, la Synchrony era lasciata emergere naturalmente, sempre concentrandosi su un singolo sito, basato sul metodo di training sull’area CZ. Il vantaggio di questo modello era al contempo la facilità di somministrazione (nessuna diagnosi richiesta, sito univoco) e la completezza (non solo si risolvevano i sintomi ma l’allenamento portava anche ad una trasformazione personale). Inoltre, lavorare sull’area CZ era considerabilmente sicuro, quindi gli effetti collaterali erano relativamente pochi. La sicurezza era inoltre ulteriormente elevata dalla scoperta di Val che la pulsazione a 3 Hz era particolarmente significativa per le vittime di traumi; in seguito Val insistette nel sopprimere la frequenza di 3 Hz durante l’allenamento. Questa osservazione sull’importanza della frequenza a 3 Hz come attributo del disordine fu uno dei suoi più grandi contributi al settore dal mio punto di vista. Permise alle vittime di trauma la possibilità di miglioramento dei sintomi senza “richiamare” il trauma. Questo ha sorprendentemente sollevato, e continua a sollevare tuttora antipatia tra quei terapeuti che si attengono al metodo (“feel it to heal it” ovvero “provare il sintomo per poterlo guarire”). Dopo che io e Val diventammo una coppia ho continuato a lavorare con il Five Phase Model ma cominciai anche a sperimentare nuovi metodi per velocizzare e potenziare il training. Mi sentivo tranquilla facendo ciò, dato che il Five Phase Model era un modello relativamente sicuro per condurre esperimenti, d’altra parte però ero un po’ preoccupata in quanto sapevo che avrei dovuto abbandonare il tale metodo nel caso in cui avessi trovato qualcosa con migliori prospettive. Questo fu un periodo molto intenso per me, clinicamente parlando, dove tolsi la gamma di frequenza 23-38, aggiunsi la banda a 40 Hz ed arrivai alla scoperta dei benefici della banda a 21 Hz, da noi definita “frequenza dell’aurea”. Ma l’allenamento era ancora a singolo canale. Avevo scoperto che era possibile velocizzare il processo lavorando in parallelo (allenando la parte sinistra e destra del cervello C3 e C4, invece dell’area CZ), ma questo comportò diversi effetti collaterali. Buona parte della seduta era spesa per passare dall’area destra a quella sinistra del cervello, per annotare quali erano i sintomi provati dai clienti e per “aggiustare” il metodo in base alle indicazioni dei clienti stessi. Questo era particolarmente difficile per i soggetti immunodepressi, che non potevano sentire per ore o addirittura per giorni gli effetti della sessione. Se si sentivano bene quando andavano via collassavano successivamente, e se invece si sentivano poco bene alla fine della sessione miglioravano in seguito. L’abilità nel gestire questa tipologia di cliente distingueva i terapeuti con esperienza da quelli più inesperti. Fu notevole lo sforzo necessario ai terapeuti di questo campo per riuscire a gestire tali effetti collaterali. Mentre io procedevo con la sperimentazione clinica, Val stava elaborando nuove teorie su un approccio dinamico non-lineare. Val aveva inizialmente incluso un approccio di allontanamento della zona CZ lateralizzando i processi per rinforzare l’allenamento SMR o Beta training per poi tornare sui suoi passi quando vide che lavorando sulla zona CZ l’allenamento riusciva a dare migliori risultati. Tuttavia questo approccio dinamico era solo l’inizio dell’esplorazione della struttura dinamica del Neurofeedback come processo globale. Divenne chiaro, mentre Val portava avanti i suoi studi sul nuovo modello, che quello che lui stava elaborando teoricamente e matematicamente era la descrizione pratica di quello che io stavo sperimentando sui miei clienti. Allontanandomi dalla fase lineare originale del Five Phase Model con i miei due anni di sperimentazione, la teoria e la pratica del Neurofeedback tornarono ad incontrarsi in un’unica soluzione. Altri specifici eventi ebbero luogo successivamente, cambiando per sempre il nostro modo di lavorare. Ad un incontro di FutureHealth ero seduta nello stand di Thought Technology mentre stavano presentando il loro codificatore ProComp. Durante la presentazione mi è venuta un’intuizione e ho suggerito a Val la possibilità di provare a trattare le due parti del cervello simultaneamente. Era un’idea alquanto bizzarra in quanto a quel tempo trattavamo la parte destra del cervello con il metodo “SMR” e la parte sinistra col metodo “Beta”, dato che i due metodi avevano larghezze di banda molto differenti l’uno dall’altro. Tuttavia, come scoprimmo mentre eravamo seduti allo stand, era possibile trattare simultaneamente le due parti con i due metodi differenti. Ovviamente molti colleghi protestarono su tale pratica in quanto sarebbe stato uno stimolo eccessivo per il sistema nervoso centrale. In retrospettiva sembra banale ma al tempo si pensava che fosse possibile allenare il sistema nervoso centrale tramite un solo stimolo alla volta. Noi ovviamente non ci curammo del pensiero dei colleghi del settore e continuammo ad esplorare l’uso di target multipli. Fu una svolta epocale! ProComp ci fornì due canali di EEG in tempo reale – che noi potevamo utilizzare simultaneamente – eravamo dunque in grado di raddoppiare l’allenamento in un’unica soluzione. Un altro evento occorse allo stesso meeting di FutureHealth che ebbe un profondo effetto sulle nostre scoperte. Val stava discutendo della possibilità di queste nuove idee in una dimostrazione dal vivo con Tom Allen, uno degli sviluppatori del sistema Biograph. Essendo una presentazione io ero rivolta verso il pubblico con lo schermo alle spalle, quindi non avevo nessun feedback visivo, solo un feedback audio. La dimostrazione mostrò come era possibile individuare un segnale che si muoveva in alto e in basso, in alto e in basso e così via per sei interazioni. Il segnale cercava di raggiungere le soglie massime cambiando la sua ampiezza per poi tornare a ristabilizzarsi ad un livello più basso se il cervello era sottoposto ad un aumento delle frequenze SMR o Beta. Tuttavia, se il target era sottoposto a frequenze inibitrici 2-6 Hz, allora il segnale si spostava verso i limiti di banda diminuendo la sua ampiezza, per poi scalare rapidamente verso l’alto per stabilizzarsi ad un livello più alto – il tutto usando un sistema manuale di incanalamento. Anche se Tom descrisse questo fenomeno in termini di teoria dell’apprendimento, Val la descrisse in termini non-lineari come “soglia dinamica”. Abbinato col nostro allenamento bilaterale a 21 e 40 e con l’alpha-theta, nasceva così il Period Three Approach. Period Three era un metodo a tre livelli, con una maggior complessa organizzazione ed implementazione. Diversamente dal Five Phase Method che richiedeva una sistematica progressione attraverso delle tappe man mano che il cliente diventava più “stabile”, nel Period Three Approach tutte e tre i differenti “periodi” del training avvenivano all’interno di una stessa sessione. Val in questo periodo stava scrivendo la nostra interfaccia proprietaria per il software di Neurofeedback che stavamo utilizzando e i tre periodi erano rappresentati da un insieme di 3 monitor che chiameremo successivamente “portali”. Scegliemmo inoltre un’interfaccia fortemente virtuale che ci permise di lavorare attraverso la “soglia” di riferimento ed osservare l’attività del cervello. Una conseguenza di questo approccio era che iniziammo ad approssimare la Matrix Mirror ( ndt. matrice specchio) del NeuroCARE Pro nella quale potevamo osservare cambiamenti nell’attività cerebrale molto prima che il cliente potesse sperimentare qualsivoglia effetto collaterale causati da questi cambiamenti dell’attività del cervello. La sfida nell’apprendimento dei terapeuti divenne dunque la capacità di riconoscere questa matrice che scaturiva, in certi clienti, dalle frequenze che erano rinviate al cervello, e di conseguenza i terapeuti dovevano adeguare il trattamento per evitare effetti collaterali. Un trainer professionista poteva così evitare indesiderati effetti collaterali ed allo stesso tempo procedere con processo di training integrato, indipendente dalla diagnosi. A questo punto, decidemmo che avremmo progettato un “portale onnicomprensivo” il quale conteneva tutte le frequenze che stavamo utilizzando al tempo. L’ interessante prospettiva di questo progetto era quella di poter passare da un periodo all’altro (dal Period 1 al Period 3) togliendo dei parametri e aggiungendone altri senza che il cliente si accorgesse di niente – e senza il bisogno di interrompere il trattamento per caricare delle diverse configurazioni. Questo richiedeva una maggior flessibilità da parte del cliente durante il training. Curiosamente, il “portale onnicomprensivo” era in origine inteso come un sistema per lavorare con tutte le frequenze disponibili in modo sequenziale da utilizzare al bisogno, come era possibile con il Three Period Approach, ma tutto in un’unica soluzione. Ma ci accorgemmo rapidamente che era possibile allenare tutte le frequenze simultaneamente. Come abbiamo fatto a pensare tutto ciò non fosse possibile? E per di più, lavorare con tutte le frequenze simultaneamente assicurava che eventuali effetti collaterali causati da certe frequenze venissero autonomamente bilanciate e regolate da altre frequenze prima ancora che gli effetti potessero presentarsi. Voilà! Avevamo creato essenzialmente un sistema di allenamento Neurofeedback privo di effetti collaterali in un unico sistema integrato e facile da usare. E una volta che fummo in grado di eliminare effettivamente gli stimoli della maggior parte degli effetti collaterali – low-beta – e aggiungendo una banda di “smorzamento” al mix onnicomprensivo di frequenze, avevamo creato un sistema univoco per tutti i clienti. Al momento lavoriamo con un’analisi congiunta Frequenza-Tempo, restituendo al cervello i suoi progressi aumentando la sua resilienza e flessibilità. Non lavoriamo più dunque su piani separati o con tecniche differenti per accedere ai vari stati. Inoltre non utilizziamo più un approccio differente “Alpha-theta” o altre forme di trattamento ad occhi chiusi. Ora il paziente passa da attività ad occhi chiusi ad attività ad occhi aperti in modo dinamico – oppure addirittura senza utilizzare alcun metodo preciso per una particolare patologia. Tutte le aree bersaglio vengono ora settate automaticamente e non richiedono un settaggio individuale. Un tocco in alto o in basso nel programma moltiplicatore rende l’allenamento più facile o difficile a seconda del necessario, lasciando così libero il terapeuta dalla maggior parte della gestione del software. Una sessione completa può ora essere condotta in modo automatico muovendosi tra diversi step (Zen 1-4) che danno ad ogni cliente una sicura trasformazione. E se un trainer vuole lavorare con il suo metodo personale, una serie di parametri alternativi ed opzioni sono a sua immediata disposizione. La storia e l’evoluzione dell’approccio CARE riflettono di per sé le possibilità di trasformazione che offre ai suoi clienti.

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